Melissa Gramaglia è una giovane coreografa siracusana giunta al suo esordio ufficiale con lo spettacolo “Suoni perduti – Cicli di un gesto”, opera curata in tutto e per tutto – regia, coreografia, ideazione video e interpretazione – dalla stessa autrice.
Lo spettacolo, andato in scena in prima nazionale al Teatro Brancati di Catania il 26 e 27 marzo, che avrebbe avuto in sé tutti gli elementi per rappresentare un convincente debutto, non ha tuttavia soddisfatto le aspettative prospettate.
Buona ad esempio l’idea dell’interazione tra danza dal vivo e videodanza o quella di un live act musicale sul palco, a cura di Giorgio Rizzo, Francesca Incudine e Marco Corbino, così come l’installazione sonora generata con una serie di flebo gocciolanti su alcuni recipienti microfonati.
Buona anche la qualità del movimento della Gramaglia, formatasi professionalmente tra i ranghi di Roberto Zappalà ed Emma Scialfa, ovvero quanto di meglio Catania possa offrire in ambito di danza contemporanea.
Tuttavia l’impressione che permane per tutta la durata dello spettacolo è che vi sia una carenza a livello empatico-emozionale. C’è una sorta di algida freddezza, un’eccessiva attenzione rivolta al dettaglio scenico che finisce però per offuscare l’impatto emotivo della performance.
L’impressione complessiva è che manchi quella dose di rischio, quell’azzardo che sta nello sperimentare, nel superare gli steccati del già visto, già sentito, e che si preferisca camminare su strade più sicure perché già battute da altri e ben consolidate.
Manca insomma l’anima dell’artista, che preferisce forse rifugiarsi in una buona tecnica ma non mette a nudo il proprio vero sé, perché oltre la sensazione di una buona esecuzione e di alcune buone suggestioni date dalle atmosfere di musiche, video e luci, rimane ben poco altro.
Non rimane soprattutto una storia, una narrazione.
Buone le idee e nobili gli intenti ma purtroppo ancora acerbi i risultati. Sarà forse solo una questione di tempo e di esperienza da acquisire.
Marco Salanitri