A chi serve il nuovo Senato? In 100 a Palazzo Madama senza indennità ma con l’immunità

qui-prodestLa riforma del Senato è ormai cosa fatta. Dopo esattamente 66 anni finisce l’era del bicameralismo perfetto in Italia. Adesso la vecchia Camera Alta della Repubblica Italiana servirà ancora di meno di quanto sia mai servita. Un tempo, infatti, tutti i big della politica si trovavano alla Camera. Le cose sono cambiate solo nel 2006 quando, grazie al porcellum, il Senato era diventato il luogo dove realmente si decidevano le sorti del Governo e quindi dell’Italia.

Dunque i senatori scendo da 352 a 100, non verranno letti ma nominati (ma su questo punto non c’è quasi nulla di nuovo neppure rispetto alla Camera) dagli enti locali, Regioni e comuni (attraverso un criterio che ancora non si conosce), non avranno alcuna indennità ma manterranno l’immunità. Questa ultima scelta verrà senza dubbio a creare una disparita tra tutti i consiglieri regionali e tutti i sindaci. Nessuno, inoltre, ha ancora specificato a carico di chi saranno le spese di trasporto e soggiorno a Roma. E neppure in che misura sarà ridimensionata la struttura di Palazzo Madama. Rimarranno i senatori a vita, ogni Presidente della Repubblica ne potrà nominare cinque, ma non rimarranno in carica a vita bensì solo sette anni.
Scrive lucidamente Gim Cassano, pacato ma lucido osservatore della politica italiana: «Il Senato italiano è stato trasformato una Camera di serie B, priva di ogni specifica competenza, non in grado di rappresentare adeguatamente neanche quelle istanze territoriali che in teoria le vengono affidate, non in grado di svolgere quella funzione di controllo di seconda istanza che giustifica ogni sistema bicamerale, non in grado di intervenire efficacemente sulla scelta degli Organi di Garanzia. E perciò, assolutamente inutile».

Se l’opinione di Cassano non bastasse a chiarire alcune cose, ecco quella di Pietro Calamandrei espressa in un articolo pubblicato in “Critica sociale”, il 5 ottobre 1956, e più recentemente, il 7 novembre 2011, riproposto da Micromega: «L’indennità parlamentare fu una grande conquista democratica, resa necessaria dal costante allargarsi della attività legislativa e dall’ascesa politica delle classi lavoratrici. Il Parlamento, invece di stare aperto per brevi periodi di qualche settimana, ha dovuto gradualmente prolungare i periodi del suo lavoro, fin quasi a sedere in permanenza, in modo che l’attività dei deputati ha dovuto, in misura sempre crescente, rimanere assorbita dalle esigenze della carica; e nello stesso tempo restringersi sempre più, fino ad annullarsi, il margine lasciato alla attività professionale privata. In questo modo i deputati che avevano una professione hanno dovuto in maniera sempre più perentoria decidersi a scegliere tra il mandato parlamentare e l’esercizio professionale: chi ha cercato di mantenere il piede su due staffe ha dovuto per qualche anno sottoporsi a logoranti acrobazie, come quel chirurgo senatore di mia conoscenza, direttore di un ospedale di provincia, che per molti anni ha continuato a dividersi tra la sala operatoria e il Senato, facendo il legislatore a Roma dal martedì al venerdì, e tornando al suo ospedale di provincia dal sabato al lunedì, per operare d’urgenza in fine di settimana le ernie e le appendiciti che attendevano disciplinatamente la sua apparizione festiva».

Sarà questo lo scenario istituzionale del nuovo Senato italiano. A questo punto, forse, sarebbe stato meglio abolirlo del tutto e andare avanti con una sola Camera.
Giovanni Iozzia

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