Ed è deflazione… Europa in affanno, Italia in emergenza e la politica internazionale sempre più complicata

La cancelliera tedesca Merkel

La cancelliera tedesca Merkel

Dopo la parentesi agostana, gli italiani hanno cominciato a riprendere le loro attività. Nel frattempo, come nei temporali di fine agosto, sul Bel Paese si addensano non poche nubi. Ma, questa volta, non si tratta di temporali locali che riguardano solo l’Italia, quanto di fenomeni molto più vasti, e che riguardano l’intera Europa.
Ad iniziare da una situazione internazionale che si complica sempre più: Libia, Gaza, Siria, Iraq, Ucraina, sono altrettanti incendi più che focolai, a noi vicini e che, oltre ad essere di per sé fattori di rischio che non fanno sperare nulla di buono, hanno anche l’effetto di concorrere a ingessare l’Europa perpetuandone i pur zoppicanti assetti oggi esistenti.

Si allontana così la possibilità di compiere passi verso la concezione di un’Europa politica fondata sul concetto di una democrazia comune e sovranazionale, capace di esprimere i propri indirizzi in campo internazionale e sulle condotte economiche, restando ancorati a un’Europa che balbetta senza riuscire ad identificare un proprio ruolo sulla scena internazionale e che, sulla scena interna, resta affidata alle burocrazie dal gioco delle mediazioni tra i singoli Governi.

Lo scenario economico europeo, e in particolare quello dell’Eurozona, è infatti tutt’altro che rassicurante.
Nonostante le conclamate virtù, la locomotiva tedesca ha iniziato ad arretrare; la Francia sta ampiamente sforando i limiti di Maastricht senza peraltro crescere, e anche altre economie (Olanda, Finlandia, Croazia) sono in recessione.
Ma il sintomo più grave è quello dell’affacciarsi della deflazione sullo scenario europeo, ancora latente nel complesso dell’Eurozona, ma oramai evidente e conclamata in Italia ed in Grecia.

I fenomeni deflattivi sono più difficili da combattere rispetto a quelli inflattivi, per i quali il controllo monetario è solitamente uno strumento adeguato. Combattere la deflazione richiede infatti incrementi di consumi e di investimenti in una fase in cui è scarsa o nulla la propensione al consumo ed agli investimenti: non basta quindi abbassare i tassi ed immettere liquidità nel sistema (cosa che la BCE ha fatto); ad evitare che la liquidità creata si trasformi in tesaurizzazione o speculazione, occorrerebbe invece incrementare la domanda di merci e servizi, cioè consumi delle famiglie ed investimenti, cosa che i governi, vincolati più o meno convintamente ai parametri del deficit, invece non hanno fatto.

Basti pensare che, tra le raccomandazioni della Commissione per l’Italia, c’è anche quella di incrementare l’imposizione fiscale sui consumi.
È quindi evidente che occorre imboccare, in Italia ed Europa, per usare le stesse parole dell’attuale premier nel dare il benservito a Enrico Letta, più che una discontinuità, una via diversa, auspicabilmente in via consensuale. È un ragionamento che da mesi si sarebbe dovuto avviare.

Occorrono interventi rivolti a ripristinare nella nostra società quei caratteri di coesione, equità, mobilità, che costituiscono le premesse sociali della democrazia, e che l’ultimo ventennio ha completamente eroso. Su questa via, una riforma del sistema fiscale è ineludibile: 120 miliardi l’anno di evasione fiscale, il peso eccessivo di imposte indirette ed accise, l’imposizione diretta che penalizza lavoro e produzione ed è mite nei confronti della rendita finanziaria, l’imposizione patrimoniale concentrata unicamente sugli immobili, sono ad un tempo fattori di iniquità e di sperequazione sociale di una società che pratica la redistribuzione alla rovescia ed ostacoli allo sviluppo economico, all’incremento della produttività, all’innovazione.

Allo stato attuale, e proseguendo nella logica del rispetto dei parametri di Maastricht e, ancor peggio, del Fiscal Compact, non vi sono risorse adeguate a consentire interventi di questa natura e di questa portata. Occorre allora aver chiaro e dichiarare espressamente che, sino a che non si raggiunga un accettabile tasso di crescita, il rispetto dei parametri di Maastricht e del Fiscal Compact è, oltre che penalizzante, un’utopia impossibile a realizzarsi.
Prima si avvierà su questo punto una discussione seria e non falsata da preconcetti ideologici, in Italia ed in Europa, e meglio sarà.

Gim Cassano

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