Scozia, referendum e quel “Sì” a futura memoria per non far torto a nessuno… neanche a sé stessi

Una scena da Braveheart

Una scena da Braveheart

Questa volta gli scozzesi ce l’hanno fatta. Per il rotto della cuffia hanno evitato un’altra delle loro gloriose sconfitte. Infatti, per quanto l’indipendenza fosse una cosa assolutamente desiderabile per una nazione, quella che la Scozia avrebbe ottenuto dal referendum di alcuni giorni fa, non avrebbe portato vantaggi quasi a nessuno.

Gli scozzesi, dopo circa 300 anni, si sarebbero trovati improvvisamente ad autogovernarsi. Non che non lo avrebbero saputo fare ma bisognava rifare tutto: dalla moneta alla burocrazia, dal Governo all’esercito, dalle tasse alla previdenza. Tenere tout court quello che c’era sarebbe apparso un controsenso. Inoltre, con l’indipendenza dal Regno Unito, la Scozia sarebbe automaticamente uscita dall’Unione europea.

Avrebbe certamente potuto fare immediata richiesta di rientro ma sempre un po’ di tempo sarebbe passato. L’Inghilterra, senza gli euroconvinti scozzesi, invece sarebbe uscita, per sempre, per propria scelta. Due in un solo colpo. Secondo tutti gli osservatori, l’economia dell’Unione europea, oltre che quelle delle singole nazioni, ne avrebbe sofferto troppo. Quindi, con il “no” gli scozzesi hanno fatto una scelta intelligente. Le due nazioni, Inghilterra e Scozia, di fatto si unificarono nel 1603 con Giacomo VI; poi l’indipendenza cessò nel 1707 i due parlamenti votarono la fusione tra Scozia e Inghilterra. È veramente passato tanto tempo e ancora di più ne è passato dai tempi di William Wallace Braveheart, che visse tra il 1270 e il 1305.

Eppure va detto che questo “No” ha più i contorni di un “Ni”, quasi fosse un “aspettami che sistemo bene ogni dettaglio e divento un Sì pieno”. Come se fossimo all’università seduti sulla sedia di un esame vincolato che riusciamo a dare, ma… a futura memoria.

Mat e Map

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