Parlare del Type Zero Negative è parlare di Peter Steele, leader carismatico, tenebroso, misantropo, straniato e, a modo suo, geniale.
Il loro debutto, con “Slow, Deep and Hard (1991)” (Lento, Profondo e Duro… non ha bisogno di commenti, vero?) è un originale miscuglio di “industrial metal”, “doom”, “dark”, “hardcore punk” e esistenzialismo urbano. La loro musica scava ferocemente nell’anima con unghie e morsi, ti fa precipitare in una disperazione senza speranza per poi tirarti fuori, carezzarti malinconicamente e ricacciarti in un tunnel di fatale oscurità, conducendo un gioco feroce e tenero nel contempo ma, leggendo fra le righe dello humour nero che lo pervade, avente fini di espiazione, di catarsi.
Da molti è considerato un album epocale, un capolavoro assoluto dell’heavy e un punto di svolta del rock tutto. L’ispirazione di Peter, come da lui stesso dichiarato, deriva principalmente dai “Black Sabbath” e dai “Beatles” (di quest’ultimi Peter era un grandissimo estimatore), ma io ci metterei pure Jimmy Hendrix (vedi il brano “Hey, Peter”, cover di “Hey, Joe”) e molto altro.
Era un gigante che superava i due metri, con una profonda ed ipnotica voce baritonale, attingeva alla sua disperazione, si vestiva della sua depressione come di un manto oscuro e si pasceva in una misantropia malata che riversava nella musica senza compromessi, mettendo a nudo tutto se stesso: “Io odio tutte le razze, poiché odio il genere umano nella sua totalità” ebbe a dire.
Dopo “Slow, Deep and Hard” arriva “The Origin of the Feces (1992)” (parodia in chiave scatologica de “The Origin of the Species” di C. Darwin). Pare che Peter voleva mettere come copertina una foto delle sue chiappe allargate dove si vedeva l’orifizio dell’ano, ma la casa discografica non fu, ovviamente, d’accordo.
Quest’album è un proseguimento, come musica e tematiche, di quello precedente, dove sono riproposti molti dei brani in versione “pseudo” dal vivo.
Giunge il 1993 e i T.0.N. pubblicano quello che, secondo me, è il loro capolavoro: “Bloody Kisses” (Baci Insanguinati). Qui le atmosfere diventano ancora più cupe, la furia iconoclasta è limitata a pochi episodi di contorno (We Hate Everyone e Kill All The White People), l’“industrial” è quasi abbandonato e predomina il “ghotic”, con richiami sempre più incisivi verso l’estinzione, vista come unica soluzione ai drammi umani e come unico modo per assurgere alla dimensione divina; il tono funereo, d’abbandono è, come sempre, mitigato da una feroce vena umoristica, che fa da contraltare, cercando di smitizzare i temi trattati. Però la disperazione è sempre lì, semmai più intensa, avvolgente, il dolore permea ogni nota, seppur più mesto e rassegnato, ma forse, proprio per questo, più intenso e introspettivo.
Dopo ci saranno “October Rust (1996)”, “World Coming Down (1999)” ed altri due fino ad arrivare al 14 aprile 2010, data in cui la famiglia di Peter Steele annuncia il suo decesso per arresto cardiaco.
Però si vocifera che si sia suicidato, proposito che aveva avanzato più volte sia nel privato e sia nella sua musica (emblematico il brano “Are you afraid..” in cui egli inizia subito con il ritornello, ripetuto più volte con voce suadente e profonda, che dice “Are you afraid? Afraid to die?” (Hai paura? Hai paura di morire?…) per poi urlare disperatamente subito dopo: “Suicide!! Suicide!!!”
Con questo si chiude l’epopea angosciosa e tragica di Peter e dei suoi Type Zero Negative (i restanti componenti hanno dichiarato che senza di lui la band non andrà avanti), un’epopea dolorosa e sconsolata, ma che ha lasciato una musica inarrivabile e, soprattutto, il profilo di un grandissimo artista che ha avuto il grande coraggio di scavare nella sua anima tormentata, di sviscerare i suoi dubbi, le sue paure, le sue profonde debolezze e la sua rabbia e di presentarli in tutta la loro tragica e vera essenza, perché un essere umano è anche questo e, a volte, soprattutto questo.
Alfonso Di Mauro