Giorgio Napolitano prima lo ha fatto dire, poi lo ha detto personalmente: tra poco si dimetterà da Capo dello Stato. Giunto alle soglie della veneranda età di 90 anni (li compirà il prossimo 29 giugno), dopo essere stato il primo ad essere riconfermato per la seconda volta, è senza dubbio stanco e, dopo oltre 60 di attività politica (fu eletto deputato per la prima volta nel giugno 1953), vorrebbe godersi la meritata pensione. Il toto-presidente quindi impazza ormai da parecchi giorni ma, a differenza delle altre volte, i nomi che si fanno sono veramente pochini. Per di più, uno dei più autorevoli e credibili, Mario Draghi, ha subito precisato che non ne vuole sapere e che rimarrà a guida della Banca Centrale Europea fino al 2019.
Al massimo, in questi giorni, si pensa a delineare un identikit del nuovo Presidente. Quello più autorevole lo ha tracciato qualche giorno fa sul Corriere della Sera, Salvatore Sechi, consulente giuridico di Napolitano. Indicazioni poco rituali e forse inopportune ma da tenere in conto. Sechi formula innanzitutto «l’auspicio che la scelta del nuovo presidente maturi fin dalla prima votazione, come fu per Cossiga e Ciampi»; un’elezione che deve essere condivisa perché «una conventio ad escludendum costruita come un dispetto quando si tratta di eleggere un capo dello Stato risulterebbe sbagliatissima. Sia in un’ottica politica, sia perché contraria allo spirito della Carta. Basta porsi un paio di domande.
Se da ormai più di vent’anni è stato archiviato perfino lo schema dell’arco costituzionale su cui faceva perno la Prima Repubblica, come non pensare che nuove preclusioni attribuirebbero in partenza al futuro inquilino del Colle una coloritura politica che non compete alla carica? Come non capire che il presidente potrebbe risultarne condizionato, anche al di là delle sue migliori intenzioni?»; e per finire neppure a parlarne di uno che proviene dalla cosiddetta società civile: azzardare la candidatura di un non politico, quasi che questo tratto identitario offrisse di per sé garanzia di castità istituzionale, sarebbe solo un modo sbrigativo per lavarsi la coscienza e confermerebbe la svalutazione della politica in quanto tale. Se i partiti cedessero su questo fronte, oltre a mettersi sulla scia di quanti delegittimano il sistema, dimostrerebbero scarsa lucidità. Non per nulla a un presidente si chiede, accanto alle doverose doti di neutralità ed equilibrio senza condizionamenti, di essere inserito nella dinamiche della politica. Di capirle e di sapersi muovere senza difficoltà nelle mutevoli cornici in cui essa si inscrive».
Chi potrà mai essere costui? Lo vedremo nelle prossime settimane. È la seconda volta consecutiva che si arriva alla vigilia dell’elezione di un Capo dello Stato italiano così incerta e per di più senza un nome almeno realisticamente ipotizzabile.
Per quel che riguarda le regole dell’elezione, il comma 3 dell’articolo 83 della Costituzione della Repubblica italiana sancisce che “L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta”. Questo vuol dire che perché venga eletto subito il nuovo presidente occorrono 672 voti. L’articolo 84 della Costituzione sancisce infatti che «Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici». Ovviamente si intende, con il maschile, anche qualsiasi “cittadina”.
I 12 Presidenti della storia costituzionale italiana
1. Enrico De Nicola 01.01.1948 – 11.05.1948 Partito Liberale Italiano;
2. Luigi Einaudi 12.05.1948 – 11.05.1955 Partito Liberale Italiano;
3. Giovanni Gronchi 11.05.1955 – 11.05.1962 Democrazia Cristiana;
4. Antonio Segni 11.05.1962 – 06.12.1964 Democrazia Cristiana
5. Giuseppe Saragat 29.12.1964 – 29.12.1971 Partito S. Democratico It.
6. Giovanni Leone 29.12.1971 – 15.06.1978 Democrazia Cristiana
7. Sandro Pertini 09.07.1978 – 29.06.1985 Partito Socialista Italiano
8. Francesco Cossiga 03.07.1985 – 28.04.1992 Democrazia Cristiana
9. Oscar Luigi Scalfaro 28.05.1992 – 15.05.1999 Democrazia Cristiana
10. Carlo Azeglio Ciampi 18.05.1999 – 15.05.2006 Indipendente
11. Giorgio Napolitano 15.05.2006 – 15.05.2013 Democratici di Sinistra
12. Giorgio Napolitano 15.05.2013 – 13.01.2015 Indipendente
“Benvenuto Presidente”… e che lo sia davvero!
Qualche giorno prima della rielezione di Napolitano, il 21 marzo 2013, usciva nelle sale cinematografiche italiani il film “Benvenuto Presidente”, regia di Riccardo Milani con Claudio Bisio, Kasia Smutniak, Beppe Fiorello, Remo Girone, Omero Antonutti, Gianni Cavina e altri. Una storia quasi profetica. Dalla scheda di Mymovie: “Peppino (Bisio) è un precario bibliotecario col vizio delle storie e della pesca alla trota. Onesto e genuino, vive in un piccolo paese di montagna sognando un futuro migliore per il suo unico figlio, venditore rampante di un articolo sportivo. A Roma intanto destra, sinistra e centro discutono le sorti del paese e l’identità del nuovo presidente della Repubblica. A sorpresa e per provocazione viene eletto Giuseppe Garibaldi. Generale, patriota e condottiero italiano naturalmente defunto il cui nome e cognome è stato però ereditato da almeno cinque italiani. Peppino si fregia di quel nome e dell’età giusta per ricoprire la carica di presidente. Eletto suo malgrado, viene prelevato dalle sponde del fiume e condotto a Roma. Pescatore di trote e di sogni, viene risolutamente invitato a rinunciare al mandato. Ma al momento di pronunciare il discorso alla Camera, Peppino Garibaldi avverte l’opportunità di fare qualcosa e di cambiare finalmente il suo Paese. Rifiutate le dimissioni e con l’aiuto di un’avvenente vice segretario (Smutniak) ricomincerà dagli italiani”. Il film indovinò in pieno la confusione di quei giorni, non l’esito. Ma, sappiamo tutti che la storia non si ripete mai e quindi rimane sempre una piccola speranza che al Quirinale venga eletto un Peppino Garibaldi che somigliava tanto, tantissimo a Sandro Pertini.