Grande, grande, grande. Tre volte grande Massimo D’Alema che come al solito non le manda a dire ma le dice personalmente. Impagabile quello che ha detto su Matteo Renzi: «Ha fatto del Pd un partito personale che gestisce con arroganza. Un partito a forte componente personale e anche con un certo carico di arroganza. Occorre una riflessione su che cosa sta diventando il Pd. Non è un grande partito se stiamo al numero degli iscritti. I Ds ne avevano 600mila, c’è stata una riduzione della partecipazione politica che non solo non è contrastata ma è perseguita». Il vecchio “leader maximo” non ce l’ha fatta più e ha sbottato fuori tutti i malumori che portava con sé ormai da parecchi mesi. Dopo anni, D’Alema ha trovato un avversario degno di lui, che non solo gli ha saputo tenere testa ma lo ha anche battuto. E, considerata sempre la differenza di età, Renzi 40 e D’Alema 65, i margini per una rivincita sono molto, molto risicati; quasi inesistenti. Per di più Renzi ha vinto, D’Alema al massimo chiudeva accordi di minoranza con Silvio Berlusconi (vedi il “Patto della crostata”). Allora perché il grande stratega della sinistra ha parlato così. Semplice: è l’ultima spiaggia per lui e per i suoi uomini. Il nuovo Pd di Renzi non ha più motivo di tenere gente come D’Alema, Bersani, Cuperlo e Civati. Troppo antichi, troppo strutturati, troppo dogmatici, troppo di sinistra. Se hanno vinto, quelle poche volte che ci sono riusciti, lo hanno fatto per merito di un altro centrista cattolico: Romano Prodi. D’Alema ha capito tutto, lo ha capito da tanti anni, e dopo aver visto la sfumare la sua ultima chance di rientrare in gioco come Presidente della Repubblica, si prepara a fare fagotto e andare con il movimento che si coagulerà attorno a Maurizio Landini. Tutti i dissidenti del Pd hanno infatti annunciato la loro partecipazione alla manifestazione di domani.
Scriveva profeticamente nel 2007 Giulio Scarrone: «Sarà, insomma, una sorta di conclusione, stile bonsai come è stato detto, del compromesso storico di antica memoria, sulle ceneri di Berlinguer e Moro. Da questo punto di vista, si potrebbe parlare di incontro tra due sconfitti, un incontro che suscita sempre minore entusiasmo, se è vero che tra gli stessi elettori del centrosinistra i sostenitori del Pd sono passati dal 77% del luglio 2004 al 60% scarso di oggi e se è altrettanto vero che, all’interno degli stessi Ds e della stessa Margherita, aumenta il numero di coloro che annunciano di andarsene se, appunto, si farà il Pd; sicché questa nuova formazione politica rischia di nascere unicamente da un compromesso sancito ai minimi termini tra i resti dei Ds e della Margherita. Ciò che molti si chiedono, soprattutto a sinistra, è se ne valesse la pena. Dunque, i Ds usciranno come tali dalla scena politica, senza aver lasciato a sinistra un segno tangibile del loro passaggio. L’anonimato è stata la loro scelta dopo il crollo del comunismo, tutto lascia prevedere che altrettanto anonima sarà la loro fine».