Catania – Mentre a Palermo l’inchiesta della Procura di Caltanissetta scoperchiava un vaso di Pandora sulle amministrazioni giudiziarie poco chiare dei beni confiscati alla mafia, a Catania in un convegno-seminario organizzato dalla sezione provinciale dell’Associazione Nazionale Consulenti del lavoro, si parlava di buone pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati (clicca qui per leggere gli interventi). E quella che, in effetti, era stata una coincidenza, ha dato modo di confrontarsi su un tema, quanto mai attuale e con relatori autorevoli, che hanno offerto non solo spunti di riflessione, ma soluzioni pratiche sulle possibilità occupazionali che potrebbero derivare sia dall’assegnazione di questi beni, sia dalla loro corretta gestione.
È stato Nello Musumeci, presidente della Commissione regionale antimafia, ad aprire i lavori dell’incontro moderato da Guido Sciacca, vice presidente nazionale Ancl, che si è rivolto ai tanti giovani presenti puntando soprattutto sulla grande opportunità che questi beni rappresentano anche alla luce della battaglia verso la legalità che le tutte le categorie professionali, giornalisti e consulenti del lavoro compresi, stanno conducendo.
“Abbiamo una marea di beni confiscati alla mafia che non sono ancora stati assegnati e mi rendo conto di quanto sia importante la categoria dei consulenti del lavoro in questo settore, sia nella gestione dell’amministrazione controllata, sia nell’assegnazione dei posti di lavoro. Se un bene viene confiscato e poi manca intesa, sinergia e collaborazione tra tutte le componenti che la determinano, dai professionisti ai cittadini fino alle associazioni del terzo settore – ha aggiunto Musumeci – vuol dire rimanere fermi al palo e concedere una vittoria alla mafia e non allo Stato”. Un processo virtuoso che deve essere accompagnato da un dettato legislativo meno cospicuo e con regolamenti attuativi ad hoc che ne facilitino il procedimento pure nella meticolosità di applicazione della legge in un settore così delicato. “Occorre non vanificare il grande sforzo compiuto dallo Stato attraverso gli agenti di polizia – ha sottolineato Giovanni Grasso dell’UGL Polizia di Stato di Catania – che chiedono a gran voce la certezza della pena”.
Ma sono i numeri i veri protagonisti. Nel 2014 è stato promosso un primo censimento delle esperienze positive di riutilizzo dei beni confiscati alle mafie da parte delle realtà del terzo settore, dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione. I Forum regionali sono stati realizzati in Calabria, in Campania, in Puglia, in Sicilia, in Lombardia per il Nord Italia e Roma per il Centro Italia. Sono state 395 le realtà sociali censite che rappresentano tutte le buone pratiche di gestione di beni confiscati. Il 65,8 per cento di queste realtà sono localizzate nel Sud Italia, il 25% nel Nord e il 9% nel Centro Italia. La regione con il maggior numero di esperienze positive è la Sicilia con 99 buone pratiche da parte delle realtà sociali, seguita dalla Lombardia con 75 realtà sociali. Terza la Campania con 64.
Di queste 395 realtà sociali, il 58,5% del totale sono rappresentate dalle associazioni, il 23,4% sono cooperative mentre 2,3% riguardano Fondazioni e Comunità. Nello specifico le realtà sociali assegnatarie dei beni confiscati operano nel 22% in attività per minori, il 13,4% operano con i diversamente abili, il 13% per il reinserimento lavorativo, il 5,8 con soggetti con patologia di farmaco dipendenti, il 4% con gli anziani e i migranti e il 2,7 % per comunità di donne vittime di violenza. Il 29,6% operano in altri settori di intervento.
“La categoria dei consulenti – ha dichiarato Guido Sciacca – oltre a occuparsi delle problematiche della professione ha voluto affrontare anche argomenti che interessano la società, da qui la scelta di parlare di Beni confiscati alla mafia dal quale potrebbe anche scaturire un progetto che possa servire di stimolo al legislatore in modo da poter utilizzare questi beni per fare opere buone per i funzionari e i dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
“Un esempio su tutti: un ispettore di polizia – continua sciacca – fa un arresto alle 13,30, a un’ora dalla sua fine turno, la legge prevede che lui completi il suo iter con le inevitabili preoccupazioni per la famiglia o per chi è responsabile. Se questo ispettore sapesse che esiste una struttura in grado di venirgli incontro senza limiti d’orario e con costi politici, si sentirebbe più garantito e lavorerebbe meglio. Un progetto il nostro che oggi abbiamo presentato ai deputati Nello Musumeci ed Erasmo Palazzotto, a Chiara Barone di Addiopizzo, e a Giovanni Grasso presidente dell’UGL di Catania della Polizia di Stato.
La proposta presentata al convegno “Le false società, le nuove opportunità di welfare ed i beni confiscati alla mafia”, che si è svolto nella sala Cassiopea dello Sheraton, è stata accolta da tutti i relatori presenti che hanno rilanciato l’idea con la costituzione di un tavolo tecnico che renda operativa la proposta.
“È stato importantissimo – ha commentato Erasmo Palazzotto (Sel) – aver organizzato un incontro su questo tema che non può essere affidato solo alla politica o a chi si occupa dell’antimafia, ma riguarda tutta la società in particolar modo quella che si occupa del mondo del lavoro. Bisogna interrogare la politica su questi beni che sono una risorsa strategica – intuita come tale da Pio La Torre – che va aggredita per minare il potere delle organizzazioni criminali mafiose. Il risultato di questa aggressione produce un capitale che se è messo a valore – e questo è l’altro valore, continua Palazzotto – può essere la base per creare occasioni di sviluppo e riscatto sociale che permettono di far crescere l’economia legale”.
Monica Adorno