Scenografia dai colori pastello e pianeti immobili contro continui cambi di abiti e musica hanno scandito il ritmo della danza di Valeria Zampardi e Stellario Di Blasi
Catania – Grigio perla quasi bianco. Il colore è uniforme la musica ritmata. Valeria Zampardi e Stellario di Blasi, i due ballerini, sembrano quasi persi in un mare di cui lei rispetta i colori, con la maglietta e i fouseaux grigio perla, e lui il pensiero mentre indossa un cappello di paglia con le falde. Ma tutto questo non dura a lungo, è un continuo di cambi lo spettacolo messo in scena a Scenario Pubblico da Giovanni Scarcella, Forbidden Destination: di incontri e scontri, di umori e di abiti. Dal cappello al colbacco, dalla maglietta alla camicia da notte color pastello indossata da uno Stellario quasi in fuga, dai pantaloni alle mutande lasciando intravedere – lui – un fondo schiena che parla. Si prendono e si lasciano e a volte si rintanano lontano ma vicino a quei satelliti (grigio perla anche loro) che fanno parte della scenografia e quei satelliti sono l’unica cosa che non si muove e non cambia. Valeria e Stellario invece sono un mutamento continuo, perennemente scosso da convulsioni e tremori che instillano brividi di freddo a chi li osserva con attenzione. E il pubblico è tutto attento. Non perde un passo o un solo movimento dei due ballerini nella speranza di comprendere cosa vogliono dire e perché. Cosa voleva trasmettere il coreografato e perché. Perché ci dev’essere un perché e ogni spettatore ne trova uno e poco importa che sia semplice, interiore, psicologico o freudiano.
Tra le domande che volteggiano sopra i movimenti incessanti, coordinati e al tempo stesso scoordinati quasi accoppiati a una musica che è un perenne crescendo, ce n’è una su quell’unica pianta che non ha pace neanch’essa e che è fonte di cibo e – sembra – anche di dolore, convulsione e morte per la ballerina. Ma si ridesta e il suo umore, la sua danza diventano gioia inseguita, adesso, da una musica parossistica che coinvolge. Eccome se coinvolge. Attrae anche. Indossa ancora il colbacco ma questa volta al contrario e sembra un cane. No. Un coniglio, un orsetto, un fumetto, una cosa dolce. E i due si avvolgono, si contorcono, si coinvolgono quasi quanto coinvolgono il pubblico. Dura poco anche questa scena e il nuovo cambio prevede una oscura prigionia per rinchiude la testa di lei in una scatola di cartone, con appena due fessure per gli occhi, sulla quale colpi di vernice blu tracciano il viso di un animaletto con tanto di orecchie dritte sulla nuca. Anche questo sa di fumetto mentre un carillon scandisce il tempo, ed è quasi un controsenso il fumetto di una testa chiusa in una scatola. Eppure c’è spazio per risate fragorose, così ampie e accese da diventare contagiose. E lo diventano. Ridono tutti, qualcuno più di altri. E la musica cresce, aumenta il ritmo e il volume. Tornano da quell’unica pianta. La mangiano? no. La guardano? no. Ci pensano…
“Ho sorriso benissimo. È stato uno spettacolo in cui mi sono immedesimata – ha detto una spettatrice alla fine nell’incontro con il coreografo -. Questa volta uscirò da qui sorridendo invece di lambiccarmi il cervello per cercare di capire cosa voleva dire lo spettacolo”.
Monica Adorno