Editoriale – Che Nichi Vendola abbia “prenotato” un bambino a una donna a fronte di un compenso ha sconvolto moltissime persone ma spinge ad alcune considerazioni
Diciamolo subito, questa storia di Nichi Vendola che mette mano al portafogli per “ordinare” un bambino “a suo gusto” fa bruciare il culo a tanti. Intanto per l’idea dei soldi – molti soldi – che sta dietro a questo gesto compiuto in un Paese in cui la maternità surrogata è una pratica prevista dalla legge. Ma ciò che offende di più è l’aver messo in piazza una storia – che in questo caso sembra giusto una compravendita – che non ha in sé nessuno dei sentimenti legati all’avere un bambino. Sembra solo la dimostrazione da gradasso di chi può permettersi una cosa e non solo se la prende, senza rispetto per nulla e per nessuno, ma la rende pubblica per far vedere quanto è importante. Il risultato è un senso di rigetto senza limiti per ciò che è stato oggetto della compravendita e anche per la svendita plateale di un’azione che in altri modi, e con altra compassione, avrebbe potuto avere un risvolto intelligente, non solo nel pensare che introdurre la pratica dell’utero in affitto potrebbe non essere una diavoleria che ci porterà all’inferno, ma anche nel riuscire a spiegare che non ci sarebbe nulla di male nell’adozione di un bimbo da parte di una coppia gay.
Non sono argomenti che piacciono a tutti, lo so benissimo. Fanno a pugni con le regole che ci hanno inculcato da bambini, ma io parto dal presupposto che nessun bambino dovrebbe vivere in orfanotrofio e che l’unica bambagia di cui ha bisogno è l’amore. Amore, quello con la maiuscola, quello che ci fa tornare a casa con la convinzione che è lì il nostro nido e che, tra quelle quattro mura, tutti ci proteggeranno e sosterranno. Contro tutto il resto del mondo. È questo l’habitat di cui ha bisogno un bambino e per ottenerlo è poco importante che in quella casa – che gli inglesi definiscono “home” per liberarla dai muri e innalzandola, così, a famiglia – ci sia una coppia etero, omosessuale o un single. Non importa davvero. E di certo non rischierà di crescere con un’idea della sua sessualità mutuata dalla famiglia in cui cresce, perché se no non si spiegherebbe come mai i tanti omosessuali, nati in coppie etereo, si “ritrovano”, un bel giorno, a preferire, e a dare, attenzioni a persone del loro stesso sesso. Insomma essere gay non è una malattia, è uno stato di fatto, una presa di coscienza di sé e delle proprie pulsioni. E non ha nulla che vedere con la religione o con Dio, come non c’entra la religione quando si parla di amore in una coppia etero.
Ok, sono favorevole alle adozioni “illuminate”, quando penso all’utero in affitto di Vendola mi viene l’orticaria, ma non sono del tutto sicura di essere contraria a questa pratica per partito preso. Diversi anni fa, anzi proprio un bel po’, ho visto un film – di sicuro americano – in cui una madre prestava il suo ventre alla figlia, e al di lei marito, che non avrebbe mai potuto concepire un bambino. Quel film non mi sembrò scandalistico, non provai repulsione, non ebbi l’impressione che quella fosse una madre-nonna solo perché prestava il suo utero all’ovulo di sua figlia e al seme di suo genero. Lo considerai un gesto di estremo amore in un tempo in cui la scienza e la tecnologia non erano, come non lo sono adesso, pronti a sostituirsi alla Natura per compiere il miracolo della nascita. In qualche modo era la versione umana di un’incubatrice e capisco che non è facile da accettare. Però se un bimbo nasce prematuro – anche al quarto mese – e sopravvive grazie al fatto che qualcuno ha inventato l’incubatrice non è anche questa una vittoria? Chi mai negherebbe la forza della tecnologia e il potere della scienza nel donare la vita a un piccolo essere umano?
Però l’incubatrice è una macchina. Non sente, come li sentiamo noi, quei battiti ritmici di un cuore che è sotto il nostro cuore. Non vive per nove mesi il miracolo di una crescita che stravolge il corpo e l’anima. E neanche prova il dolore e le emozioni lancinanti del parto.
Non siamo macchine e mai dovremmo abbassarci a esserlo, forse la cosa più giusta sarebbe quella di lasciare a ognuno di noi la possibilità di scegliere secondo coscienza. Ivi compresa la possibilità di offrire il nostro ventre in cambio di un compenso.
Monica Adorno