Un viaggio tra usi e abitudini di un Novecento che non c’è più: dagli attrezzi “do carritteri” a quella “conca” che creava famiglia. Natale ai Minoriti rimarrà aperto fino al’8 gennaio
Catania – “Quando un popolo, un paese, una collettività, grande o piccola che sia, non perde la memoria, vuol dire che non è nemmeno disposto a perdere la libertà”. Leonardi Sciascia riusciva a racchiudere in due righe la filosofia e il sentire popolare. Una pennellata decisa su ciò che siamo o su ciò che vorremmo essere e diventare e non ci sono dubbi che noi siamo ciò che ricordiamo del passato che non abbiamo vissuto.
In questo Natale Palazzo Minoriti ci regala un po’ di questa memoria latente e ripropone “a casa dù zù Puddu ‘u carritteri”, la ricostruzione, curata nei minimi particolari, della casa in cui “u zu Puddu” (al secolo Giuseppe Marletta 1885-1960) avrebbe potuto abitare e lavorare. Di questa ricostruzione si è occupato Sebastiano Messina seguendo un filo tematico che sfrutta al massimo la minima dimensione dello spazio, tipica degli anni a cui si riferisce (1930-50). Ciascun oggetto, mai solo nella sua capacità rievocativa, “racconta” la funzione e la storia di quel tempo.
All’interno della “casa”, il percorso evocativo vuole essere un contributo alla conservazione di alcuni valori socio-culturali che hanno caratterizzato un’epoca e che inevitabilmente hanno influito sulla formazione di coloro che hanno vissuto in quel contesto e su quanto è stato trasmesso alle successive generazioni.
“Il percorso consente di scoprire valori – ha spiegato Messina – che il cosiddetto progresso ha soppiantato: lo stare insieme attorno a una “conca”, il rispetto nell’ascoltare quelli più grandi, gli insegnamenti religiosi che può dare una “cona”, la modestia degli alimenti posti sulla “buffetta”, e tanto altro. La ricostruzione della casa do zù Puddu – continua Messina – mira a fare diventare gli oggetti “memorie materiali” di un mondo popolare spesso negato, cancellato e rimosso che invece merita di essere sottoposto all’attenzione critica dell’uomo di oggi, per riappropriarsi del proprio territorio e delle proprie radici culturali. Ed ancora, ritornare al passato può servire da stimolo per rivisitare e meglio comprendere il presente”.
Simbolico e ricco di significato il valore di connessione espresso dall’intreccio di vari prodotti della terra. Così come dall’intreccio di liste di canne e verghe di olivo, si realizza una cesta, un paniere o altri oggetti destinati a durare nel tempo; dall’intreccio di relazioni di amore e di amicizia si possono creare le condizioni per superare dei momenti di difficoltà di tipo morale, sentimentale e, perché no, anche di tipo economico. Lo stare insieme, sapere di poter contare sugli altri è una risorsa di inestimabile valore.
Infine, va sottolineato il fatto che gli oggetti, nel raccontare le loro origini, mettono in relazione le vecchie tecniche di produzione (artigianato semplice e di necessità dell’epoca) con l’attuale artigianato, che trova nella mostra una magnifica espressione di sintesi e di particolare bellezza.
L’iniziativa è piaciuta moltissimo e qualcuno l’ha anche applaudita pubblicamente. Uno di questi è Francesco Tanasi, segretario nazionale del Codacons che ha detto: “Oggi viviamo in un mondo sempre più globalizzato e si fa presto ad accantonare e dimenticare ogni espressione di cultura popolare, legata al territorio e, in particolare, al nostro mondo contadino. Non si tratta di velata nostalgia o di desiderio di un ritorno al passato, ma è il un tentativo di cogliere al meglio le più genuine espressioni di vita vissuta dai nostri genitori o dai nostri nonni. Agli oggetti esposti e a quelli che ci tornano alla mente il compito di “raccontare”.
A casa dù zù Puddu si può visitare all’interno di Palazzo Minoriti di via Etnea, rimarrà allestita per tutte le festività natalizie, fino a domenica 8 gennaio 2017.
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