Diciamo la verità, la delibera della Corte dei Conti del 4 maggio scorso, di dissesto del Comune di Catania, notificata martedì al sindaco Pogliese, tutto è tranne che un fulmine a ciel sereno.
Il dissesto parte da lontano e la sua data di origine non è nemmeno quel 19 dicembre 2017, quando, in aggiunta ai sei Comuni dissestati nella provincia, (Aci Sant’Antonio, Mirabella Imbaccari, Palagonia, Santa Maria di Licodia, Santa Venerina e Scordia) si aggiungono altri otto, e fra essi Catania, individuati in pre-dissesto.
Probabilmente si è ritenuto più conveniente, ma non si sa per chi, fingere di non sapere che gli aiuti dello Stato erano stati falcidiati e che il fondo regionale per le autonomie locali, il pronto soccorso per i Comuni in difficoltà, ad opera del precedente Governo regionale, era passato da 900 a 340 e poi a 280 milioni; come dire cerotti ed aspirine invece di antibiotici e punti di sutura.
Ma tant’è, con i suoi 14 Comuni coinvolti fra dissesto e pre-dissesto la provincia di Catania, o come diavolo si chiama ora, ha quasi il 25% degli Enti locali “alla canna del gas”; un record poco invidiabile.
Eppure fino a 45 giorni fa l’orchestra del Titanic suonava a tutto volume e venivano diffusi rassicuranti bollettini come se, invece che tra i ghiacci dell’Atlantico, si stesse navigando nella placida laguna veneta.
Purtroppo i numeri sono impietosi e mentono solo quando vengono ritoccati.
Catania è come una vecchia signora che negli ultimi anni è stata sottoposta a troppi lifting; ora si vedono tutte le cicatrici.
Il Comune può e deve opporsi dopo aver letto con grande attenzione cosa sta scritto nelle 70 pagine del provvedimento; non è difficile prevedere che il problema principale starà nell’indebitamento per spese correnti e nella mancata capacità di reperire entrate.
Il percorso non sarà facile e la previsione dell’art 243 bis del Testo Unico degli Enti locali non lascia spazi a “trovate di finanza creativa”; il riequilibrio va operato, nel caso di Catania che ha un “buco” di 1,6 miliardi di euro, per almeno 10anni, mediante essenzialmente taglio delle spese ed aumento delle entrate da elevarsi fino ai livelli massimi consentiti dalle leggi.
In caso di definitiva conclamazione del dissesto: taglio delle spese correnti, abbattimento del 50 dei crediti vantati dai fornitori di beni e servizi ed il definitivo addio, almeno per 10 anni, alla spesa pubblica.
Da vero sportivo inglese la dichiarazione del Vice Sindaco Roberto Bonaccorsi: “Noi cercheremo di trovare soluzioni e non verso chi puntare l’indice accusatore” ma, per restare in tema di “stile inglese” per noi, comunque vada, saranno “lacrime, sudore e sangue”.
Alfio Franco Vinci