Lo spettacolo di Guglielmo Ferro, andato in scena al Centro Zo, racconta, senza troppi veli, quei reati di pedofilia e abusi di cui sempre più spesso si legge sui giornali
Catania – Due giovani, un prete all’apparenza bonario, una voce che irrompe da dietro la porta e il viso di una vecchia bardata di fasce multicolori che fa capolino da una lampada trasparente. Sulla scena un letto con la testata rossa e lenzuola grigio fumo e un armadio verde decoupage che fanno anche da quinta, e poi un tavolo da pranzo che diventa altare per il messale. Sul palco del Centro Zo sta iniziando “Concetto al buio” per la stagione del Teatro Mobile di Catania.
La trama si fa subito intensa e alterna la storia di Carmelo rinchiuso in quella da stanza da sempre, e forse per il resto della sua vita, e quella di una ragazzina (è sempre Carmelo? è sua madre? chissà) che non sa se fingersi ragazzo per costringersi a non ricordare quello che le è accaduto. Ma i fatti, quei due maledetti fatti, sono lì. Scritte indelebili su quel quadernetto rosso a quadretti che, entrambi, hanno imparato a memoria e che recitano a quel Gesù Bambino in nome di un pentimento, di un’assoluzione o, magari, solo di un’amnesia.
La storia è quella che si immagina. Quella che tinge di nero le cronache di ogni giornale. Quelle che sempre più spesso mettono insieme giovani e preti in un peccato che loro, i preti, laveranno via col sacramento della confessione ma che quei poveri ragazzi porteranno nel corpo e nel cuore per tutta la loro vita.
Il testo di Rosario Palazzolo è stato adattato e ridotto per il teatro da Micaela Miano e diretto da una sapiente ed eccellente regia di Guglielmo Ferro che ha saputo bilanciare, con un sincronismo perfetto, le storie dei due ragazzi riuscendole ad alternare persino degli inserti ironici in un testo che ha assestato un perfetto colpo al cuore degli spettatori. Spettatori persino ignari di ciò che mente e cuore stava elaborando per loro. Così, chi è arrivato al Centro Zo con l’umore aperto di un venerdì sera che fa capolino, si è ritrovato, alla fine dello spettacolo, con un macigno sul cuore. Non c’era tempo e voglia per un bicchiere da condividere né la voglia di uno stuzzichino in compagnia. L’unico desiderio, in vari modi espresso, era il bisogno di rinchiudersi tra le pareti amiche della propria casa per lasciare fuori quel senso di sporco che a poco a poco affiorava dal petto senza neanche troppa enfasi. Abbiamo fatto mente locale solo a distanza di tempo, pensandoci con calma, e solo allora abbiamo capito che, quei 90 minuti, passati all’apparenza così in fretta, in realtà ci erano rimasti attaccati addosso come un peccato non scontato o, come hanno suggerito dal palco, “mi ha lasciato con la bocca sporca di sugo” come gli spaghetti che quel parroco aveva preparato alla sua preda. Nulla c’era da fare se non chiedere aiuto a Gesù con le stesse preghiere che i due ragazzi avevano scritto, nero su bianco, su quel quadernetto rosso. Oppure aprire occhi, cuore e orecchie alla verità senza nasconderla. Esattamente all’opposto di ciò che quelle donne di casa, così abilmente nascoste, avevano negato a Carmelo.
Eccellente l’interpretazione degli attori Agostino Zumbo, Francesco Maria Attardi e il bravissimo Giovanni Arezzo. Speciale la voce fuori campo di Tony Sperandeo. Musiche Massimiliano Pace, scene Alessia Zarcone, auto regia Maria Chiara Pappalardo. Tutti applauditi dal pubblico per diversi minuti.
Monica Adorno