Sono molto preoccupato per il pessimo andamento economico del nostro Paese al cui capezzale sono riuniti non i politici più autorevoli e competenti, anche bipartisan perché no, ma l’ennesima task force presieduta dal manager Colao.
Dalle notizie circolanti pare la brigata Colao stia per licenziare una proposta contenente ben 100 (cento) azioni da attuare per rimettere in moto l’economia italiana.
100 azioni si traducono in 100 provvedimenti e, considerata la grafomania di stile UCASE (ufficio complicazioni affari semplici) che contraddistingue il nostro establishment, 100 provvedimenti di 100 articoli ciascuno, fanno 10.000 nuove regole da studiare, interpretare e trasformare in circolari esplicative. Niente di strano che mentre il medico studia, il malato muore.
Non credo francamente che fosse necessario tutto ciò, e sono assolutamente convinto che la montagna abbia partorito un topolino, che però parla latino, anzi “latinorum”, così avranno la certezza che nessuno capirà niente.
Per presentare questo menù dalle cento portate, il prof Conte ha pensato bene di convocare gli Stati generali dell’economia, confermando i miei sospetti che lo vedevano affetto da mania di grandezza, anzi, visto che parliamo di Stati generali, da mania di “grandeur”.
I segnali c’erano da tempo;
Curriculum agli estrogeni;
Foto ricordo con i potenti del pianeta;
400 miliardi di euro sull’unghia per fronteggiare Covid 19;
Una potenza di fuoco mai vista;
8 milioni di baionette, non questo no, è stato un lapsus calami froidiano;
Ed infine gli Stati generali.
Novello emulo di Filippo il Bello – ed in effetti è piacente, stando al giudizio di molte Signore – pensa di convocare le rappresentanze dell’economia e del lavoro (già tutte presenti nel CNEL, che nessuno si è sognato di interpellare) non per raccogliere i quaderni delle doglianze (i cahiers de doleances come li chiamano appunto i francesi fin dal 1300), ma per presentare il suo menù.
Il risultato non cambia. Tanto farà comunque di testa sua, o dei suoi dante causa, ma almeno salviamo la forma.
Caro Giuseppi, “È il modo che ancor mi offende”, avrebbe detto padre Dante.
Ma quella è un’altra storia.
Alfio Franco Vinci