Ad albero che cade accetta, accetta. È una frase popolare che sintetizza la quintessenza della vigliaccheria di chi attacca uno sconfitto.
Io ho sempre attaccato il professor Conte, a partire dalla presentazione di un curriculum agli estrogeni, fino ai giorni nostri e pertanto, “vergin di servo encomio e di codardo oltraggio”, posso dirgli che, fino ad oggi ha proseguito nel suo “stile” tracotante, evidentemente in piena crisi di astinenza da palcoscenico.
Ha parlato in un banchetto improvvisato fuori da palazzo Chigi, come uno sfrattato che piange davanti alla ex casa.
Ha parlato come il capo di una forza politica, senza esserlo.
Ha parlato, irritualmente ed irrispettosamente, mentre il suo successore incaricato, al primo piano della sua ex casa, lavora per tentare di mettere in piedi un Governo che faccia le cose dettate nell’agenda del Presidente Mattarella, da lui evidentemente non fatte.
Ha parlato invece di tacere e di incominciare a vergognarsi per le prime verità che stanno uscendo.
La prima, la più grave, la più occultata, la più assoggettata al vincolo del silenzio per quanti ne erano a conoscenza, i debiti da pagare lasciati al suo successore.
427 miliardi di euro da onorare entro il 2027.
Più del doppio della dotazione teorica a noi spettante in caso della approvazione da parte della UE del nostro programma di attuazione del recovery plan, ancora neanche scritto.
L’elenco delle cose da farsi, PERCHÉ NON FATTE A TEMPO DEBITO, l’ha fatto Mattarella, e quindi, prof Conte, si sistemi la pochette e torni a fare il professore, avendo chiaro che gli allievi che avrà davanti pagheranno i suoi errori per i prossimi trenta anni.
Alfio Franco Vinci.