«Con la stampa si andava d’amore e d’accordo e qualche incomprensione giornalistica di allora si risolse senza bisogno di minacce. Fava invece non era più controllabile. “Il Giornale del Sud” che dirigeva in precedenza era del cavaliere Gaetano Graci, ma “I Siciliani” erano del tutto indipendenti e schierati contro gli interessi di Costanzo e degli altri che controllavano appalti miliardari. Uccidendolo, Cosa nostra ha tutelato anche i propri interessi economici. Fava aveva messo in crisi un equilibrio che si è subito ristabilito. Andava bene così a tutti, anche ai giornalisti». Questo è un passaggio del pentito di mafia Maurizio Avola tratto da una sua recentissima intervista al quotidiano “La Repubblica”. Parole dure, forti, gravi, che lanciano un’ombra di sospetto su gran parte della stampa siciliana, almeno di quella che conta. In Italia, il giornalismo è ben lontano dalla mentalità collettiva del mondo anglosassone come testimoniano i film “Tutti gli uomini del presidente” e soprattutto “L’ultima minaccia” con la scena finale e il direttore del giornale Ed Hutcheson (interpretato da un magnifico Humphrey Bogart, nella foto) che pronuncia la fatidica frase: «È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non puoi farci niente! Niente!». A dirlo anche una sola volta in Italia, con il medesimo senso di onestà.
La stampa italiana è stata sempre ben lontana da questi esempi. Senza volere tracciarne una tediosa storia nei primi anni dell’unità i quotidiani erano “liberali e moderati”, nel periodo fascista proni all’Agenzia Stefani e ossequiosi delle veline di regime. Vero c’era la stampa socialista, comunista e anarchica ma quella, per usare un termine che possa rendere l’idea, si poneva in una posizione alternativa se non addirittura marginale. Questa situazione non toglie che singoli cronisti abbiano avuto il coraggio di andare fino in fondo nelle loro inchieste o nella libera espressione delle loro idee.
Questo è accaduto, però, nel periodo circoscritto del terrorismo e nella lotta alla mafia. Vengono in mente, oltre a quello di Pippo Fava, i nomi di Carlo Casalegno e di Walter Tobagi, di Peppino Impastato e di Mario Francese. E solo per la caparbia, la professionalità e forse l’eroismo dei singoli. Per il resto anche le nostre “penne più aguzze” avevano, ed hanno sempre, un qualcosa di fortemente propenso al compromesso, al quieto vivere. Compito della stampa è quello di raccontare, rivelare, denunziare, perfino di proporre. Ma le uniche proposte che avanzano certi giornalisti sono state e sono quelle di andare a fare i parlamentari oppure di ottenere comodi e remunerati uffici stampa o incarichi di qualsiasi tipo per guadagnare di più. Per giungere a questo diventa necessaria una totale omologazione e una forte accondiscendenza nei confronti dei poteri forti, peraltro a volte necessaria per ottenere pubblicità o aiuti. E magari ci si fermasse solo a questo…
Mat