Il Nepal devastato dal terremoto, si temono diecimila vittime… e se il big one arrivasse in Sicilia?

02 C - Kathmandu Nepal

Il territorio del Nepal tra Kathmandu e il monte Everest

Duemila. No tremila. Anzi no, ieri mattina si parlava di oltre quattromila. Quattromila persone spazzate via dalla furia di un terremoto che non ha lasciato scampo. Lo potremmo definire un big-one se non fosse per lo sciame sismico che ancora si porta dietro con scosse così forti da superare i quattro gradi della scala Richter. E di certo la prima scossa, quella delle 8.11 (ora italiana del 25 aprile) potremmo proprio chiamarlo così, big-one. 7.9 gradi della scala Richter ma i rilevatori cinesi dicono che sia arrivato anche a 8.1. E il tempo si dilata, diventa lunghissimo e non c’è niente che puoi fare. Solo pregare. Pregare che passi presto e che quel punto in cui stai poggiando i piedi riesca a sorreggerti per tutto il tempo necessario ad andare oltre.

Chissà cosa pensavano i 950mila abitanti di Kathmandu (Nepal) mentre ogni cosa accanto a loro tremava senza fermarsi, mentre i palazzi crollavano e le strade si aprivano. Non si scappa da un terremoto simile. Non c’è un posto verso cui correre, perché dovunque corri sei sempre in mezzo alle rotaie di quel treno che ti sta travolgendo.

Master Karma Tanpai Gyaltshen

Master Karma Tanpai Gyaltshen

È difficile smettere di pensare a questa tragedia, vuoi perché in questo mondo globale ci sentiamo tutti più vicini e raggiungere qualcuno dall’altra parte del mondo non è mai stato così facile. Vuoi perché un amico lo abbiamo anche noi in Nepal. Lui è Tanpai, priore del Monastero Bianco di Kathmandu. Non sappiamo cosa ne è stato dello splendido Monastero dalla Porta d’oro ma immaginare il peggio è la cosa più facile. Del resto anche la torre di Dharahara è crollata con duecento persone dentro. Si è piegata su se stessa a quasi cento anni dalla sua ricostruzione. Non le è servito appartenere al patrimonio dell’Unesco, ancora una volta un terremoto l’ha buttata giù. Ma è poco quello che è rimasto in piedi e il numero dei morti è in continuo aggiornamento anche dal campo base sull’Everest.

02 C Foto 2Ci sentiamo coinvolti più che mai davanti a questo terremoto che ha sconvolto un popolo perché dietro c’è di più. C’è la consapevolezza che quello che hanno vissuto in Nepal potremmo viverlo anche noi qui in Sicilia, proprio qui nella Sicilia orientale, dove da tanto si parla di big-one, del fatto che sono più o meno ciclici e che tornano ogni trecento anni. Non è un modo di dire, né lo stiamo inventando noi. Sono gli esperti che lo affermano. E sono sempre loro che puntano il dito sul nostro patrimonio edilizio quasi tutto a rischio. «Il 78% – ha dichiarato il prof. Margani in un convegno organizzato pochi mesi fa presso il dipartimento di Ingegneria di Catania – cioè tutti gli edifici che sono stati costruiti durante il boom economico e comunque prima del 1981. Una data che rappresenta uno spartiacque nel mondo dell’edilizia antisismica, visto che è solo dal 1981 che la Sicilia, e Catania in particolare, è stata definita sismica».

Ecco perché non è solo la globalizzazione a farci sentire vicini al Nepal non solo per il terrore che hanno vissuto in quei momenti ma anche e soprattutto per i problemi immensi e inenarrabili che dovranno affrontare da oggi: niente acqua, niente luce, niente cibo, nessun riparo né ospedali, nessuna medicina e neanche bare a sufficienza in cui seppellire i propri morti, senza parlare del rischio immenso di epidemie. E poi ripulire tutto e ricostruire, un po’ meglio e con più sicurezza. Ma il Nepal è anche uno dei paesi più poveri del mondo con pochissime strade per raggiungerlo se non via aerea e la chiusura dell’aeroporto di Kathmandu ha aggiunto disastro al disastro. E mentre scriviamo le cifre salgono e si prospettano già 6.000 vittime e il premier nepalese teme addirittura per diecimila persone. E se pregare sembra l’unica cosa che sgorga dal cuore, dall’altro la mente impone concretezza. E così nonostante le polemiche di queste ore sui soccorsi, in tanti si sono messi in moto: Agire (www.agire.it), Caritas Italia (www.caritas.it), Medici senza Frontiere (www.msf.it/nepal), Unicef (www.unicef.it/nepal), Aibi Amici dei Bambini (www.aibi.it) e Save the Children in Nepal numero verde 800988810 (www.savethechildren.it/nepal). E se aiutare è ciò che possiamo fare per fronteggiare un problema già emerso, dall’altro lato dovremmo pensare a programmare il presente per fare in modo che il futuro non ci colga impreparati.

Monica Adorno

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