Due cose sono intoccabili per il cittadino etneo: il Catania e Sant’Agata. Tifosi e devoti intersecano fede e adorazione in questi giorni di festa. In città si respira aria di gioia, la Santuzza è tornata tra i suoi fedeli, le principali strade di Catania sono tutte colorate, tirate a lucido; tutto per onorare la Santa Patrona Agata. E quello che certamente non passa inosservato ai 600mila che in questi giorni stanno festeggiando a Catania, è il connubio quasi inscindibile tra il tifoso della formazione rossazzurra e il devoto di Sant’Agata.
Lui c’era quando il Catania era in Serie A, c’è ora a maggior ragione che la squadra è in Lega Pro, con un futuro più che mai incerto. Prima allo stadio, poi al Duomo per trascinare il fercolo, perché il “devoto” è anche tifoso.
“Non è una cosa che si può spiegare – ti dicono in mezzo al caos della festa – Sant’Agata ci appartiene e anche il Catania, nonostante tutte le vicissitudini degli ultimi anni, fa parte della nostra storia”.
Il tifoso ha fede, così come il devoto supporta i rossazzurri.
Il fedele che traina il fercolo è vestito con il tradizionale saio di cotone bianco, noto a tutti come “u saccu”; in testa il copricapo in velluto nero, “la scuzzetta”, in vita il cordone monastico rigorosamente bianco, alle mani i guanti e un fazzoletto, anche questi ultimi due di colore bianco. E dunque, avanti con il sacco, il tradizionale abito, ma senza dimenticare al collo la sciarpa del Catania: rigorosamente rossa e azzurra. Di lana o cotone non conta, l’importante che sia indossata senza disonorare ‘u sacco’. Deve appena intravedersi, non deve sovrastare l’abito tradizionale della festa, perché il profano non deve superare il sacro. La festa è festa, ma in processione non ci si dimentica mai della formazione rossazzurra. Si portano i ceri per penitenze e in silenzio si spera anche che vi sia un futuro migliore per quella maglia, per quei colori che dalle stelle degli anni della serie A, sono finiti alle stalle della Lega Pro. Nel rigoroso rispetto della tradizione religiosa, la terza festa clericale al mondo per grandezza e devozione è sempre stata caratterizzata da questo corrispondenza tra tifo e fede. Anche i catanesi emigrati ormai da tanti anni lontano da questa terra, quando tornano nella loro Catania hanno due desideri quello di poter seguire la festa, soprattutto dal 3 al 5 febbraio, vivendone ogni singolo commovente momento e quello di fare una capatina al Massimino, sperando di vedere il Catania vincere… almeno nei giorni della festa.
Antonietta Licciardello