Un progetto guidato da Francesca De Santis e Mona Felloni ha messo insieme Neon Teatro con gli studenti dello Spedalieri. Così, il palco del Centro Zo è diventato scuola
Catania – Siamo tutti eroi feriti, emarginati da una lacerazione che è condanna, che è espiazione. Siamo tutti Filottete, pronti, però, a rialzarci ed a scoccare le nostre frecce.
La tragedia sofoclea è salita nella cattedra ospitata dal Centro Zo di Catania, dove gli studenti del Liceo Classico Spedalieri hanno dato vita al rimaneggiamento della professoressa Francesca De Santis e modellato sulla scena da Monica Felloni, Manuela Partanni e Piero Ristagno, rispettivamente regista, coreografa e direttore artistico di Neon Teatro.
14 allieve hanno vinto una scommessa audace: dare corpo e voce al coro di marinai di una tragedia rigorosamente al maschile, rappresentata da Sofocle nel 409 a.C.
Una scommessa che Neon Teatro vince ogni giorno: “Il progetto didattico per NeonTeatro guarda e mette al centro della vicenda teatrale la persona. È un incontro con Filottete, con Sofocle mediato da una visione pedagogica – ha spiegato Ristagno ai giovani che hanno gremito le tribune nelle tre matinée -. Il teatro è il luogo dove le persone si incontrano per presentarsi attraverso una formula che viene direttamente dalla poesia. Perché il corpo umano è poesia e come tale va letta, dando alla poesia il significato più autentico, cioè il pensiero che diventa azione del corpo. Lontano da noi ogni dualismo fra corpo e mente, fra corpo e anima: l’entità dell’essere vivente dal nostro punto di vista è completa, e ha dalla sua un valore straordinario nell’essere unico, ma questa unicità se non è accanto alle altre unicità diventa solitudine. Il compito del teatro è fare sentire comunità le persone che presentandosi attraverso un testo, attraverso un autore, presentano la propria vita così come è, nel luogo, nell’età e nella bellezza che ha il corpo”.
Così tutto si amalgama. Le parole, le attrici, il pubblico. Un unico essere che si è mosso nella scenografia essenziale che ha rappresentato l’esilio nell’isola di Lemme, dove il più grande arciere dell’antica Grecia si cura la ferita che lo ha costretto alla solitudine, alla lontananza da quel popolo che ha amato e che adesso odia. L’odio di chi è stato tradito, di chi ha visto calpestata la sua dignità, i suoi valori eccelsi, la sua essenza.
L’odio che è una richiesta di aiuto, una preghiera, un appello agli dei affinché possa tornare ad amare ed a essere amato.
Filottete siamo noi, che non vogliamo essere opportunisti così come Odisseo: l’onestà contro il fine a qualunque costo, anche con l’inganno. È un inno al dolore che fa risorgere, l’opera messa in scena dalle ragazze del laboratorio teatrale del liceo catanese.
È un potente insegnamento, attuale più che mai, dal passato dirompente come se fosse stato scritto per le attuali generazioni e quelle che saranno. Perché l’altro protagonista, Neottolamo, il giovane contadino che viene manipolato da Odisseo per farsi consegnare l’arco e i dardi infallibili ricevuti da Eracle dall’eroe mite si pente. Il giovane contadino si pente di avere carpito la fiducia di Filottete, ritorna sui suoi passi, si ribella al potere, in lui prevale la correttezza, il senso del giusto, indipendentemente dagli imprevisti del destino.
Ecco, i giovani hanno la faretra colma di frecce che potrebbero cambiare il Mondo, che potrebbero rendere migliore l’umanità. Insieme, uguali e unici.