Per quelli che non lo sanno il Gramelot è un NON-linguaggio in cui si assemblano suoni, borbottii e farfugliamenti, totalmente incomprensibili, privi di alcun significato ma foneticamente fluenti. Ne fu maestro il premio Nobel Dario Fo e ne è magistrale interprete Gigi Proietti, che riesce perfino ad apparire convincente.
Ieri sera ho ascoltato, su più reti, perché temevo di non aver compreso al primo passaggio, le soluzioni che il ministro Gualtieri intende mettere in campo per far ripartire il Paese.
Lì per lì mi ero preoccupato di aver perso l’udito o il comprendonio, poi ho capito. Il Ministro parlava in Gramelot.
Al politichese ci eravamo in qualche modo abituati; avevamo scoperto alcuni segreti per la decriptazione, tipo: Vogliono dire il contrario di quello che fanno capire;
I loro impegni sono privi di qualsiasi garanzia, e perciò inaffidabili, come ben sanno gli imprenditori, perché privi dei requisiti essenziali della affidabilità, cioè “incertus an, incertus quan”;
Le loro promesse valgono, al più, il tempo di una campagna elettorale, come ben sanno cittadini, lavoratori e pensionati, perché, se finita la campagna di raccolta voti, per tentare di formare un governo dovranno allearsi col peggior nemico dichiarato, si dichiareranno gioco forza “promissionis soluti”.
Orbene, davanti al Gramelot siamo totalmente impreparati, e non potremo nemmeno lamentarci delle cose non fatte o degli impegni non mantenuti, per il semplice motivo che niente avremo compreso di ciò che è stato non-detto-nel-non-linguaggio.
Una volta queste rappresentazioni, messe in scena dai giullari di corte con il liuto, l’antenato della chitarra, servivano ad ingraziarsi i favori dei Principi o dei Re e a far incazzare il Popolo che viveva, ieri come oggi, i problemi veri della mancanza di soldi, di cibo, di lavoro, di speranze e di prospettive per il futuro.
Oggi le cose sono cambiate in peggio, e, basta un cantastorie in Gramelot con la chitarra, per ingraziarsi un Conte e fare, come sempre, incazzare il Popolo.
Alfio Franco Vinci