L’ecomafia è sempre lo stesso mostro che continua a mordere il Paese e a ucciderne la bellezza. Troppo pericolosamente, come raccontiamo da più di 20 anni. E mentre comincia a mostrare qualche segno di cedimento, per merito di un’attività repressiva costante, nonostante i limiti di personale e risorse, e un’opinione pubblica oggi più attenta e consapevole dei rischi, la classe politica di casa nostra rimane pericolosamente immobile. Lasciando il nostro paese con una legislazione penale a tutela dell’ambiente del tutto inadeguata, a carattere sostanzialmente contravvenzionale, basata sulla vecchia impostazione che ha sempre riconosciuto le ragioni dell’economia tralasciando completamente i costi ambientali, sociali e sanitari. Dando indirettamente appoggio alle aziende più spregiudicate, se non quando criminali. Un’Italia orfana di buone leggi penali ambientali, che finisce per lasciare campo aperto agli ecocriminali.
Il Rapporto Ecomafia di Legambiente ha l’obiettivo di accendere i riflettori su questo tipo di reati.
Analizzando nel dettaglio i numeri complessivi dell’illegalità ambientale accertata nel 2013, a fronte, come si accennava all’inizio, di un lieve e generalizzato calo del numero di infrazioni, il segno più lo hanno registrato nell’ultimo anno sia il settore agroalimentare, che ha visto un’impennata dei reati accertati, 9.540 (più del doppio rispetto all’anno precedente), che il ciclo dei rifiuti (5.025, +14,3% rispetto al 2012) e dell’illegalità commessa ai danni della fauna (8.504 reati, + 6,6%).
Nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) sono stati commessi quasi il 47% degli ecocrimini (ancora in crescita rispetto al 2012, quando era del 45,7%), a sottolineare il ruolo tutt’altro che marginale delle famiglie mafiose nel controllo del territorio.
È la Campania, come ogni anno, la regina assoluta della classifica per numero di reati ambientali, avendone qui contati ben 4.703, raggiungendo da sola più del 16% di quanto è stato accertato in tutto il paese; questa regione mantiene pure il poco invidiato record di persone denunciate, 4.072, di arresti, 51, e di sequestri effettuati, 1.339. Seguono la Sicilia con 3.568 reati accertati, la Puglia con 2.931, la Calabria con 2.511. Il Lazio è la regione del Centro Italia con più ecocrimini, con 2.084 reati, 1.828 denunce, 507 sequestri e 6 arresti, subito dopo la Toscana con 1.989 infrazioni e la Sardegna con 1.864. La prima regione del Nord è la Liguria con 1.431 reati, seguita da vicino dalla Lombardia, dal Veneto e dall’Emilia Romagna.
A Catania l’attività della Dda ha consentito l’apertura di ben 12 processi per reati ambientali particolarmente gravi.
In particolare, un’indagine condotta dai Carabinieri e dall’Arpa, coordinati dalla Procura della Repubblica di Catania, ha svelato che a pochissimi chilometri dal centro di Catania, in piena zona industriale e su un terreno di proprietà della Regione siciliana, venivano sotterrati illecitamente e senza alcun controllo rifiuti di ogni genere, compresi quelli tossici e pericolosi. In quel terreno di proprietà dell’Esa (Ente regionale di sviluppo agricolo), scrive il pubblico ministero, si svolgeva “un’attività organizzata per il traffico illecito di rilevanti quantità di rifiuti”. Per questo la stessa Esa si è costituita parte civile nel processo contro i responsabili dello smaltimento illecito. In soli due anni, tra il 2007 e il 2009, sono stati smaltiti circa “123.000 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e non”.
Parte dei rifiuti clandestini più pericolosi giungeva addirittura dalla Campania, e solo questi avrebbero fatto “conseguire un ingiusto profitto per 2 milioni e mezzo di euro”. Tra i rifiuti smaltiti fanghi di depurazione, ceneri di pirite, rifiuti di industrie agrumarie contenenti alte concentrazioni di idrocarburi, arsenico, antimonio, rame, 440 tonnellate di scarti alimentari scaduti, 2.570 tonnellate di fanghi provenienti dagli agglomerati industriali della frazione di Giammoro di Pace del Mela, nel messinese, e di Caltagirone in provincia di Catania.