Quando perdiamo a calcio dubitiamo di tutto, rivoltiamo la nostra coscienza come un calzino. Abete si è dimesso (non per aver perso) dopo aver accompagnato l’Italia ai Mondiali per sette volte consecutive: una vita ad occuparsi, da volontario, della federazione. E questa è già una parte del problema. Devono passare almeno due decenni per capire.
Abbiamo notato errori dappertutto in questi ultimi giorni e Mario Sconcerti li ha descritti a caldo ma con freddezza. Il nostro sistema non funziona. Eppure non siamo stati solo noi a tornare a casa. Spagna, Inghilterra, Russia e Portogallo ci hanno fatto compagnia consacrando una conclusione accettabile e, al contempo, algebricamente scorretta: Sud America batte Europa.
E così gli esperti si sono espressi: occorrono regole che limitino la presenza degli stranieri nel nostro campionato.
Confrontando tutte le rose del campionato di serie A e gli organici della Bundesliga (liste pubblicate dal Corriere dello Sport), infatti, viene fuori che in Italia gli stranieri arruolati in prima squadra equivalgono al 50,8% del totale. Nel campionato tedesco, invece, la percentuale si abbassa al 44,1%. Ma manca un dettaglio. Squadre come Juventus, Roma, Napoli, Inter, Lazio e Milan, scivolano verso gli stranieri con un buon 61,6%. In Germania le prime sei squadre, invece, arruolano soltanto il 42.4% di non tedeschi. La tendenza è vera, quindi e forse bisognerebbe obbligare le società italiane a mantenere una certa “quota azzurra”.
Tuttavia individuare il perché di ciò che accade, è la spinta che ci muove.
Cosa ci stanno mostrando esattamente questi campionati del Mondo, giocati dopo una stagione dispendiosa in condizioni climatiche talvolta estreme? Che vincono i sudamericani? Può darsi, ma la conclusione è imprecisa.
Il calcio è cambiato e il fattore genetico può essere importante quanto quello tecnico. Le nazionali più efficaci, in Europa e in tutto il mondo, sono quelle miste! La Germania, l’Olanda, il Brasile (che ha perso ieri sera contro la Germania con un punteggio vergognoso, ndr), la Colombia, la Francia, il Belgio, godono di una composizione straordinariamente multi-etnica. Quando si gioca al caldo, sugli altipiani, poter contare sul numero più elevato possibile di paradigmi umani può essere decisivo.
I tedeschi non sono più quelli di una volta ed è per questo che, in fondo, hanno bisogno di meno stranieri nel loro campionato: li hanno già incorporati nel sistema. In Germania il 27% degli stranieri vive tra Dormund e Berlino da più di vent’anni! Il 50% da dieci. I loro turchi, armeni e ghanesi, si sono ambientati. E adesso giocano in nazionale piuttosto che in Bundesliga. E poi diventano campioni, in ruoli diversi, come Ozil e Boateng.
Il nostro Paese, invece, non riesce a gestire l’immigrazione. Per l’Istat il 6% degli italiani residenti vive in ‘condizioni di grave deprivazione materiale’, mentre i non italiani residenti che sopravvivono in condizioni indecenti ammontano al 19%. Non hanno da mangiare, figurarsi se possono frequentare le scuole calcio. I nostri azzurri sono solo italiani, a parte Balotelli, El Shaarawy, Ogbonna e pochissimi altri. Insomma siamo poco vari.
Forse ci capiterà di vincere ancora in Europa, giocando secondo le regole che conosciamo, come è successo nel 2006. Le nostre squadre di club, però, avranno sempre bisogno di integrare le caratteristiche di Pirlo e Marchisio con quelle di Vidal, Pogba e Asamoah. E pur di provare a vincere la Champion’s continueremo ad allenare i calciatori degli altri, che per tutta risposta ci segneranno ai Mondiali. A meno che non impareremo ad attingere a piene mani dal patrimonio che ci manca. Un giovane e talentuoso ragazzo italo-marocchino è già dei nostri. Mastour. Forse anche noi arriveremo al punto adeguandoci, ma puntuale in ritardo. Come sempre.
Mario Cardone