Che l’Eni voglia andare via dal Gela e quindi dalla Sicilia è un fatto strano, molto strano. Gli impianti di raffinazione sono stati inaugurati nel 1965, a tre anni dalla morte di chi li aveva voluti proprio lì: Enrico Mattei. Non c’è dubbio che “L’Ingegnere” aveva in mente un’idea di sviluppo della Sicilia che non era quella dei signorotti ed ascari locali. Questo gli costò la vita. Ma il seme era stato piantato, solo che crebbe in maniera distorta.
Purtroppo in Sicilia, spesso, anche le cose distorte assumono poi un senso e nel caso dell’impianto Eni di Gela una necessità per una città che annaspa da sempre nelle difficoltà economiche. Eppure, pur sfruttando in maniera becera terra e gente, l’Eni non ha mai mostrato la volontà di andare via del tutto. Un tempo il Petrolchimico era una struttura enorme, adesso è rimasta solo la Raffineria di Gela S.p.A. che pur sempre ha un ruolo vitale per l’intero circondario. Dal sito dell’Eni si legge infatti: “Nel 2013 è stato avviato il progetto di ristrutturazione per recuperare la sostenibilità economica della raffineria, massimizzando la produzione di diesel e interrompendo la produzione di benzine e polietilene rendendo al contempo più eco-compatibili i processi di lavorazione. In particolare, il riassetto prevede la chiusura delle linee benzine (FCC e ancillari) e polietilene e la conversione del Gofiner in Hydrocracking”.
Niente male a leggerlo così. Inoltre, appena poche settimane fa, il presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, che è gelese e dipendente Eni, ha siglato un protocollo di intesa tra Regione, Assomineraria, EniMed Spa, Edison Idrocarburi Sicilia Srl e Irminio Srl, che ha come obiettivo il rilancio degli investimenti in Sicilia per permettere “l’utilizzo razionale delle risorse di gas e petrolio, intensificando gli strumenti dedicati alla sicurezza e al rispetto dell’ambiente”. Scoppiano feroci le polemiche perché la cosa viene ritenuta eccessivamente favorevole alle grandi compagnie petrolifere. Nulla, però, al confronto di quello che si disse quando sempre il Governo regionale stabilì che l’aliquota di prodotto dovuta dal titolare di concessione di coltivazione di giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi e di gas diversi dagli idrocarburi fosse ridotta dal 20% al 13%.
Fu poi il Commissario dello Stato a bloccare la norma con l’impugnazione. Adesso l’Eni minaccia, anzi paventa di andare via. Purché rimanga a Gela tutti adesso sono o sarebbero disposti a fare qualche piccola, seppur legale, concessione.
Forse le cose si rimetteranno a posto a prescindere dalle parole, dagli interventi e dalle manifestazioni come quella di lunedì scorso a Gela. In fondo funziona così in Italia. La StMicroelettronics comincia a mettere in cassa integrazione, avanza perplessità sul suo futuro ed ecco che arrivano i milioni del Contratto di Sviluppo. Nessun dubbio che sia Eni sia StMicroelettronics rappresentino realtà importanti per la Sicilia e vadano sostenute ed aiutate per quanto possibile. Ed è anche probabile che, se questo ragionamento è corretto, facciano bene ad agire così nei confronti di una classe politica disattenta e incapace e di fronte a una pletora di associazioni capaci solo di dire “no”. Come se in Sicilia dovessimo andare esclusivamente in bicicletta (magari in mountain bike da oltre mille euro) ed usare le candele per avere luce. Basti pensare alle urla di gioia da parte di alcuni quando si apprende che il numero delle auto è in caduta verticale. Costoro avranno ottime biciclette ma la “demotorizzazione” dell’Italia comporterà la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro non solo negli stabilimenti di produzione (come a Termini Imerese) ma nelle concessionarie di ogni città italiana, Catania compresa.
L’industrializzazione, la fabbrica, perfino la catena di montaggio, portarono il progresso, anche lo sfruttamento dei lavoratori ma anche la coscienza dell’appartenenza di classe, alla rivendicazione dei diritti, al socialismo, alla sinistra europea.
In Italia la sinistra non c’è più e la destra è troppo lontana dalle idee liberali per essere veramente tale. Quindi, a questo punto, obtorto collo, ben vengano i Contratti di sviluppo, i protocolli d’intesa e tutto ciò che ci fa sopravvivere, visto che di altro non siamo capaci per riscattare noi stessi e la nostra Terra.
Giovanni Iozzia