«E immediatamente dopo ci fu un terrificante ruggito tutt’intorno a noi e il cielo si riempì di enormi pipistrelli strillanti in picchiata sulla nostra macchina, la quale filava a centosessanta all’ora verso Las Vegas con la cappotta abbassata. E una voce gridava: “Santiddio! Cosa cazzo sono questi animali?”. Poi tornò la calma. Il mio avvocato si era tolto la maglietta e si versava birra sul petto, per facilitare l’abbronzatura. “Cosa cazzo urli?” brontolò…». (Hunter S. Thompson: Paura e Disgusto a Las Vegas – trad. Sandro Veronesi – Bompiani 1996, pag. 11). L’edizione originale, in due puntate, è del 1971, da parte della rivista “Rolling Stone”.
Quest’inizio già fa capire quale spirito animerà tutto il resoconto-romanzo. Infatti, subito dopo, l’autore precisa che lui ed il suo avvocato, un corpulento samoano, paranoico e sparaballe, sono in viaggio verso Las Vegas perché è stato incaricato di scrivere un pezzo sulla “Mint 400”, una corsa strampalata nel deserto voluta dal plurimiliardario D.E.Webb. La maggior parte dell’anticipo ricevuto viene subito spesa per l’acquisto di un’incredibile congerie di sostanze stupefacenti e simili «Il baule della macchina sembrava un laboratorio mobile della narcotici…» (pag. 12) dei quali i due ne fanno allegramente uso e consumo per tutto il viaggio ed il soggiorno.
Ma prima d’inoltrarci nei meandri di quello che è stato definito una “Divina Commedia alla mescalina”, è doveroso inquadrare brevemente l’autore: H.S. Thompson. Giornalista, scrittore, avventuriero, amante delle armi da fuoco e americano fino al midollo (emblematica nel libro la sua esclamazione quando, nel voler cambiare l’auto presa a noleggio gli propongono una Mercedes: “Ho per caso l’aria di un nazista del cazzo? Voglio una vera macchina americana o niente!” (pag. 100). Precedentemente Aveva pubblicato un libro nel quale descriveva l’epopea degli Hell’Angels, ma vista dall’interno, infatti si era unito a loro ed aveva partecipato ai loro riti e alle loro scorribande per poi descriverli in Hell’s Angels: A Strange and Terrible Saga of the Outlaw Motorcycle Gangs(1966).
Con “Paura e Disgusto…” conia il termine “Gonzo Journalism”, etichetta che classifica il suo modo di fare giornalismo e, cioè, non un resoconto dei fatti quanto più obiettivo ed oggettivo possibile, bensì l’avvenimento narrato secondo il proprio, personalissimo punto di vista (mediato magari dallo stupefacente di turno appena assunto), ed utilizzando il modus tipico della narrativa. Il “gonzo journalism” fu considerato, quindi, come una branca dell’allora nascente “new Journalism” americano. Non tragga in inganno il termine “gonzo”, che qui da noi intende stupido, sprovveduto, invece, in questa accezione la traduzione più appropriata che ne viene data è di “giornalismo paraculo”.
Ma torniamo al libro. Si parte, quindi, con un viaggio al limite del deserto da Los Angeles fino a Las Vegas, condotto su una decappottabile piena zeppa di stupefacenti, con un nastro che continua a “bombardare” “Sympathy for the Devil” in contrasto stridente con la radio, anch’essa sparata a palla, condotta da due figuri strafatti che non fanno altro che terrorizzare autostoppisti, fingersi calati in una missione importante e imbrogliare chi gli capita a tiro per non far capire il loro effettivo stato ed ottenere quello che, al momento, il loro capriccio gli detta.
Alla fine della fiera, della “Mint 400” vedono sì e no il polverone della partenza e nient’altro, ma riescono ad ottenere un altro incarico (su interessamento dell’avvocato) che, guarda come si combinano a volte le cose, ha il sapore di una feroce beffa: partecipare alla conferenza dei procuratori distrettuali antidroga!!!
Infatti, adesso il problema diventa come poterlo fare senza farsi scoprire da quelli che, alla luce dei fatti, sono i loro più acerrimi nemici: “L’idea di farsi di gas esilarante nel bel mezzo di una conferenza di procuratori antidroga aveva un fascino assolutamente perverso:” scrive Thompson, “Ma non il primo giorno, pensai. Serbalo per dopo.
Non era il caso di farsi arrestare e internare prima ancora che la conferenza cominciasse.” (pag. 97).
Questa parte del libro è quella più divertente e, allo stesso, tempo quella più inquietante e, in certo qual modo, anche più riflessiva.
Thompson è un virtuoso della parola. Lo stile è scorrevole, accattivante e coinvolgente, espresso in una sorta di narrazione alla “hard boiled” combinata ad una disincantata vena ironica. Si prendono di mira i rappresentanti dell’establishment (i poliziotti, i procuratori distrettuali, ecc. che vengono più volte definiti “Maiali”, ma anche chi genericamente gestisce qualcosa ed è troppo “quadrato” ) e come sottofondo vengono riportate le notizie di quegli anni, dalla guerra del Vietnam alla presidenza Nixon, dai disordini di Chicago cantati da C.S.N.&Y. ai fatti di Altamont, epilogo dell’affondamento della protesta giovanile. Siamo sul finire degli anni 60 ed il cosiddetto “sogno americano”, (semmai sia veramente esistito) sta scricchiolando, mostrando tutta la sua inconsistente struttura, imbellettata da una facciata falsa e fuorviante.
Ed una delle chiavi di lettura del libro è proprio questa, una ricerca-denuncia del crollo di quel sogno (o di quello che dovrebbe esserlo), della sua ipocrisia, nonché il resoconto delle disillusioni che sta seminando e delle innumerevoli “vittime” che si sta lasciando dietro.
Concludo con questa crudele riflessione che l’autore fa sul giornalismo: «La stampa è una congrega di checche crudeli. Il giornalismo non è una professione né un mestiere. E’ solo una modesta trappola per coglioni e sbandati – un falso portone sul retro della vita, una miserabile fossa biologica nelle grinfie degli ispettori edili, ma abbastanza profonda perché un ubriacone ci si possa raggomitolare dentro e masturbarcisi come una scimmia nella gabbia» (Hunter S. Thompson: Paura e Disgusto a Las Vegas – trad. Sandro Veronesi – Bompiani 1996, pag. 185).
Il libro si apre con una dedica a “Mr Tambourine Man” di Bob Dylan: e già questo dice tutto…
Thompson ed il suo libro. L’autore è morto il 20.02.2005 con un colpo di arma da fuoco.
Ufficialmente è stato detto che si sia trattato di suicidio, però pare che avesse confidato, poco prima, al suo amico e collega Paul William Roberts, di lavorare ad una inchiesta per la quale poteva essere tolto di mezzo e l’uccisione camuffata da suicidio: è vero, oppure già meditava il suicidio ed ha voluto ammantarlo, visto il tipo, di un caso di “cospirazione” (molto di moda di questi tempi…)? Probabilmente non si saprà mai ed il misterò alimenterà il culto di questo personaggio particolare. Dal libro, nel 2011, è stato tratto un film, interpretato da Johnny Deep, dal titolo “Paura e Delirio a Las Vegas”, distribuito in Italia nel 2012.
Alfonso Di Mauro